Il futuro di Internet: tra AI, ricerca liquida e la fine dei modelli tradizionali

Negli ultimi mesi il dibattito sul futuro di Internet si è acceso come non mai. Non parliamo di fantascienza, ma di cambiamenti concreti che stanno già ridisegnando il modo in cui viviamo il web.

Al centro di tutto: l’intelligenza artificiale e la progressiva liquidità della rete.

La fine di Internet come lo conosciamo?

Parlare di “fine” non significa immaginare che internet sparisca dalle nostre vite, ma la fine di un’epoca. L’Internet aperto che abbiamo conosciuto, fatto di siti web, blog, contenuti indipendenti e discussioni autentiche nei forum, si sta sgretolando sotto il peso di dinamiche economiche e tecnologiche precise:

  • La concentrazione del potere economico: poche aziende (Google, Apple, Meta, Amazon) controllano l’accesso alle informazioni e ai dati.
  • La crisi dei contenuti testuali: creare contenuti informativi indipendenti diventa economicamente nullo a livello di profitto e spesso insostenibile a livello di costi per i piccoli editori.
  • La sostituzione delle voci autorevoli: la produzione di informazioni sarà sempre più in mano a modelli di AI o a content farm sotto controllo diretto delle piattaforme.

L’illusione della AI come opportunità per tutti

L’intelligenza artificiale generativa è uno strumento potentissimo, ma comporta un problema che non riguarda la tecnologia in sé, bensì il modello economico che la guida. Se c’è un margine di profitto, questo verrà sfruttato fino in fondo, anche a discapito della qualità e della pluralità dell’informazione.

L’IA in sé non è tutta rose e fiori. I benefici sono sotto gli occhi di tutti. I rischi invece sono un po’ più nascosti. Studi come Gradual Disempowerment vogliono mostrarci come i miglioramenti incrementali nelle capacità dell’IA possano minare l’influenza umana (disempowerment) sui sistemi su larga scala da cui dipende la società, inclusi l’economia, la cultura e gli stati-nazione.

E la rete.

Un esempio chiaro è Google AI Overviews, il sistema che fornisce risposte generate dall’AI direttamente nei risultati di ricerca. Questo riduce drasticamente il traffico verso i siti web, colpendo anche chi produce contenuti originali. E non si tratta solo di semplici domande che gli utenti chiedono a Google: con enorme disappunto dei SEO Overviews intercetta anche query complesse, che fino a ieri portavano valore economico agli editori.

Per approfondire: Come AI Overview sta cambiando Google (e cosa fare per non perdere traffico)

Una svolta imminente da Apple

Un segnale forte arriva da Apple. A Cupertino stanno valutando di sostituire il proprio motore di ricerca interno con soluzioni AI, dialogando con OpenAI, Anthropic e altri. Questo cambio di paradigma ha due significati strategici:

  1. Migliorare l’esperienza utente con risposte più pertinenti e personalizzate.
  2. Iniziare a raccogliere dati diretti sugli utenti, riducendo la dipendenza da Google.

Se Apple decidesse di abbandonare Google come motore di ricerca predefinito, l’impatto sull’intero ecosistema sarebbe enorme e Google potrebbe perdere il suo primato o almeno vederlo decisamente ridotto.

L’internet liquida: API, MCP e la fine delle “pagine web”

Il futuro di Internet non sarà più fatto di pagine e link come li conosciamo. L’interazione avverrà sempre più spesso tramite AI e tecnologie particolari:

  • API: sistemi che permettono di connettere servizi senza passare da un sito web.
  • MCP (Model-Context-Protocol): un protocollo aperto pensato per collegare i modelli di linguaggio di grandi dimensioni (LLM) e gli assistenti AI a file, database, servizi web e applicazioni aziendali.
  • Ricerca conversazionale e vocale: interazioni fluide, senza interfaccia visuale tradizionale. Le nostre ricerche diventeranno sempre più simili a conversazioni con un assistente virtuale

Qualche esempio pratico?

L’integrazione tra OpenAI e Shopify consentirà di acquistare direttamente all’interno di ChatGPT, senza mai “visitare” un sito e-commerce tradizionale.

Oppure, la collaborazione di VISA con Anthropic, IBM, Microsoft, Mistral AI, OpenAI, Perplexity, Samsung e altri per avviare una nuova era di ecommerce intelligenti, basati sull’AI.

O ancora, Perplexity è in procinto di lanciare Comet, il suo browser basato sull’intelligenza artificiale agentica che cambierà il concetto stesso di Browser per come lo conosciamo: invece di aprire una pagina e digitare un URL o fare una ricerca, ci basterà comunicare con un assistente virtuale, che farà tutto per noi, dalla ricerca all’acquisto. Niente più ricerche dopo ricerche, ma risposte dirette e impacchettate direttamente dall’AI.

Advertising: il tramonto della search classica

Anche il mondo della pubblicità online sta cambiando. La nuova AI Max di Google e le nuove strategie di Meta puntano a eliminare intermediari.

AI Max nello specifico è una nuova tipologia di campagna pubblicitaria per la rete di ricerca basata su intelligenza artificiale generativa. La tecnologia permetterà di automatizzare in modo avanzato la creazione degli annunci, la selezione delle keyword e la gestione delle offerte, ottimizzando le performance delle campagne.

Con AI Max, Google punta a semplificare la gestione delle campagne e a offrire agli inserzionisti uno strumento potente (almeno sulla carta, ricordiamo tutti Google Adwords Express, no?), riducendo al contempo la complessità operativa.

Si va verso un modello dove le aziende daranno un budget e un obiettivo, lasciando all’AI il compito di gestire targeting, creatività e analisi dei risultati, senza intermediari (come il sottoscritto) che gestiscano le campagne e informano le aziende sui risultati.
Il lato oscuro della faccenda? Una sempre più difficile interpretazione dei risultati da parte delle aziende.

Le parole chiave di conseguenza perdendo la loro centralità, che già ora vacilla con la Performance Max.

La sfida per le aziende e i creator: diversificare o scomparire

Per sopravvivere in questo scenario, i brand dovranno:

  • Aumentare la qualità e la profondità dei contenuti. Ampio spazio quindi ai Copywriter.
  • Presidiare nuovi formati.
  • Investire in branding e strategie di awareness fuori dai canali tradizionali.
  • Rafforzare la capacità di analisi e tracciamento dei dati, anche in contesti frammentati.

Non basterà “fare di più”, bisognerà farlo meglio e in modo diversificato. La vera sfida non è solo pubblicare con qualità, ma diventare la fonte principale degli argomenti che trattano sul proprio sito web.

Brand awareness: il nuovo asset strategico nell’internet mediato dall’AI

Alla luce di un internet sempre più intermediato da intelligenze artificiali la brand awareness avrà sempre più un ruolo centrale come asset strategico.

Se in passato il funnel digitale poteva essere “forzato” tramite campagne di performance, la decisione d’acquisto avverrà sempre più spesso senza che l’utente visiti un sito, clicchi un’inserzione o compia azioni misurabili. È l’AI a suggerirà il prodotto “giusto” nel momento “giusto”, basandosi su preferenze, contesto e fiducia.

In questo scenario la visibilità e la reputazione del marchio non servono più solo ad attrarre clic, ma influenzano direttamente le scelte operate dagli algoritmi, che privilegiano brand affidabili e riconosciuti.

Inoltre, con la crescente difficoltà nel tracciamento puntuale delle performance (come visto in precedenza), la forza del brand diventa una metrica di successo a lungo termine, capace di generare valore anche in assenza di attribution diretta.

Il problema del tracciamento nell’era dell’AI

Con l’avvento di assistenti AI, automazioni conversazionali e raccomandazioni predittive, tracciare il percorso dell’utente sta diventando sempre più complesso. Se prima il customer journey era mappabile in tappe chiare (clic, visualizzazioni, carrelli, checkout), oggi le interazioni si frammentano in micro-momenti, spesso intermediati da sistemi intelligenti che agiscono senza passaggi visibili all’utente.

L’AI suggerisce prodotti, personalizza esperienze, automatizza i riacquisti, ma questo rende più difficile attribuire con precisione il “merito” di una conversione. Gli strumenti di analytics tradizionali faticano a catturare questi nuovi flussi, perché la relazione tra azione e risultato non è più lineare.

Questo pone sfide importanti per chi si occupa di marketing e performance. Serviranno strumenti creati ad hoc capaci di misurare l’efficacia dell’AI, sperando nel contempo che le piattaforme di AI collaborino per una maggior trasparenza.

Proteggiamo la conoscenza, non solo i dati

Internet è nata come uno spazio di condivisione della conoscenza. Oggi rischiamo di perderne il valore più autentico, soffocati dalla superficialità, dalla logica di profitto e dalla velocità imposta dalle piattaforme. Serve una riflessione collettiva su come tutelare il patrimonio di informazione indipendente.

Già da tempo esistono realtà che cercano vie più “indie” per un internet più old school. Non sono iniziative di vecchi nostalgici del tempo che fu, ma veri e propri movimenti che puntano a far rivivere la rete della condivisione:

  • avere una propria piattaforma dove pubblicare: blog o sito web
  • usare i social solo per condividere link diretti a questa tua piattaforma
  • commentare e discutere su forum o siti di altri: è la rete stessa il nostro social network, non Meta o TikTok o altro.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *